In Fiorenza, nella Stamperia di Zanobi Pignoni, 1643, volume unico, in-4, legatura settecentesca che riutilizza due pergamene più antiche (probabilmente smontate da rilegature di libri di formato inferiore), con dorso rinforzato in carta decorata antica e titolo calligrafato su tassello in carta, pp. 610, [2]. Frontespizio stampato in rosso e nero con stemma mediceo, 23 incisioni xilografiche nel testo (fra cui forme geometriche, la pianta di un passaggio segreto, mobili a doppio fondo, teschi e ossa umane) e una tavola allegorica in rame fuori testo (che quasi mai si trova) raffigurante un liuto senza una corda su cui si poggia una cicala e con motto latino “Ut suppleat” – simbologie per la stonatura delle perversioni del genere umano, sostenuta però dall’intelletto personificato dall’apollinea cicala -. Rara opera seicentesca sul diritto criminale scritta da Antonio Maria Cospi, giudice in varie sedi dello Stato toscano fra la fine del Cinquecento e l’inizio del Seicento, ed edita postuma dal nipote Ottaviano. Si tratta di un testo di pratica giudiziaria che tenta di organizzare i ricordi e le conoscenze professionali dell’autore. Si spazia infatti dalla trattazione scientifica alla spicciola quotidianità del criminalista, passando per la superstizione e l’aneddotica. Il Cospi si sofferma nella prima parte sulla deontologia del giudice, indicando la lussuria e quindi – in una visione fortemente antifemminile – la donna come “ianua diabuli”. Nella seconda parte tratta gli ambiti della criminalità, soprattutto quelli fra reato e peccato, quali la magia, la divinazione, l’eresia, la stregoneria. Nella terza, oltre che su negromanzia, avvelenamenti, stupri, aborti, ladri, zingari e bari (alle carte o ai dadi), si sofferma a lungo sull’importanza della ricognizione del cadavere e del luogo del suo ritrovamento. Ci troviamo di fronte a un quasi manuale per “la scena del crimine”, con tanto di descrizioni dettagliate e illustrazioni. L’autore sostiene proprio che il giudice necessiti di conoscenze scientifiche, anatomiche, chimiche e di disegno, oltre a quelle prettamente giuridiche e morali, per poter analizzare al meglio e mettere a verbale ogni caso in modo critico. Altro concetto innovativo e fondamentale è quello della testimonianza, intesa come interrogatorio al fine di trarre indizi dall’esame del reo e vista come unica via laddove la scienza non può arrivare. Dalle bibliografie a nostra disposizione (Piantanida/Diotallevi/Livraghi 1948, Michel 1970 e la rivista “Le Carte e la Storia” edita da Il Mulino 2002) questa del 1643 risulterebbe come prima edizione, anche se, probabilmente in tempi successivi, ne sarebbe stato censito un unico esemplare, alla Biblioteca Nazionale di Firenze, datato invece 1638. Più probabilmente però, secondo la nostra interpretazione, si tratterebbe di un errore tipografico sulla data di quest’ultimo esemplare: MDCXXXVIII (1638) invece di MDCXXXXIII (1643). La carta Oo presenta uno strappo con perdita di qualche carattere; minuto camminamento di tarlo alle 6 carte da Vv3 a Xx4, solamente marginale; alcuni fascicoli leggermente bruniti per la fattura della carta. Comunque un bell’esemplare.
COSPI Antonio Maria.
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